La formazione di coaguli nelle vene degli organi addominali è più rara rispetto a trombosi venosa ed embolia polmonare, ma pare avere un legame con il cancro

GettyImages-513880747-kLn-U43100649564604weE-593x443@Corriere-Web-SezioniUn trombo nella vena aorta addominale potrebbe essere la spia della presenza di un tumore. E, nei pazienti a cui è già stato diagnosticato un cancro al fegato o al pancreas, la sua presenza può indicare una prognosi peggiore per il paziente. A giungere a queste conclusioni è uno studio pubblicato su Blood , rivista scientifica della Società Americana di Ematologia. Precedenti analisi avevano già chiarito che, rispetto alla popolazione generale, le persone che soffrono di trombi alle gambe (con episodi di trombosi venosa profonda) o ai polmoni (con conseguente embolia polmonare) hanno dal doppio al quadruplo delle probabilità in più di ricevere una diagnosi di cancro nell’anno successivo. In presenza di un tumore, infatti, è più facile che si formino coaguli all’interno dei vasi sanguigni. Una massa cancerosa in crescita potrebbe comprimere una vena, riducendo anche di molto il normale flusso del sangue. In altri casi ancora, un intervento chirurgico, un’infiammazione o l’aumento di volume della neoplasia possono danneggiare i vasi sanguigni e quindi favorire la creazione di grumi.

In presenza di trombosi addominale salgono le probabilità di tumore

Mentre l’associazione tra tumori e trombosi venosa profonda o embolia polmonare è già ben nota , esistono meno studi sul legame tra la formazione di coaguli nelle vene che portano il sangue attraverso il fegato e gli altri organi addominali e il fatto che possano essere utilizzati come segnale della presenza di una neoplasia. Questi trombi, che danno luogo alla trombosi della vena porta, sono più rari rispetto a quelli di gambe e polmoni e generalmente si creano solo come conseguenza di un’altra complicanza o patologia. Per meglio capire se la trombosi della vena porta può indicare un tumore non ancora diagnosticato i ricercatori hanno analizzato i dati di oltre quasi 1.200 pazienti danesi ai quali, tra il 1994 e il 2011, era stato trovato e curato questo problema. «Gli esiti dell’indagine – spiega l’autrice principale Kirstine K. Søgaard, dell’Aarhus University Hospital in Danimarca – hanno evidenziato che 183 pazienti sui 1.191 partecipanti hanno poi ricevuto una diagnosi di cancro. E per la metà di questi (95) l’accertamento della neoplasia è avvenuto nei 3 mesi successivi alla trombosi. Si trattava soprattutto di tumori del sangue, fegato e pancreas. Dopo aver fatto le analisi statistiche del caso, tenendo conto anche di altri fattori di rischio oncologici che questi malati potessero avere, abbiamo stimato che un episodio trombotico addominale faccia crescere del 33 per cento le probabilità che venga poi a breve scoperto un tumore. E nei malati di cancro con trombosi la prognosi è risultata peggiore».

 L’esperto: «Per ora non si possono fare esami a tappeto per cercare tumori in chi ha una trombosi»

«L’associazione tra trombosi venosa e cancro è conosciuta da anni – commenta Sergio Siragusa, direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia del Policlinico di Palermo -. La trombosi non solo potrebbe indicare un cancro occulto, ma la sua presenza sembra indicare un tumore aggressivo riducendo le probabilità di guarigione dal tumore e, quindi, la sopravvivenza del paziente. Questi dati non possono comunque essere estesi a tutte le neoplasie o a tutti i tipi di trombosi. La maggiore evidenza che la trombosi possa essere spia di un tumore occulto riguarda le trombosi venose insorte senza apparenti cause (quali ad esempio i traumi, la familiarità, gli interventi chirurgici) e quelle insorte in sedi cosiddette atipiche, quali appunto quelle dell’addome. Tuttavia, stiamo ancora studiando quale debba essere il migliore approccio da assicurare ai pazienti che si presentino con una trombosi venosa sospetta – prosegue l’esperto -. Bisogna sempre cercare un possibile cancro non manifesto? Se lo trovo significa curarlo prima e quindi migliorare la sopravvivenza o la qualità di vita del paziente? La risposta non è così ovvia. Infatti, un recente studio ha dimostrato che i pazienti con trombosi senza causa che venivano sottoposti a screening (con TAC, esami del sangue ecc.) per cercare una neoplasia non manifesta non hanno avuto un esito migliore in termini di sopravvivenza rispetto ai pazienti in cui si applicava uno screening di routine per neoplasia senza TAC. L’incidenza di neoplasia, nell’anno successivo alla diagnosi di trombosi, era comunque bassa, meno del 2 per cento. Inoltre, eseguire tecniche radiologiche in assenza di segni o sintomi espone inutilmente il paziente a radiazioni. In conclusione, bisogna ancora aspettare nuove evidenze prima di eseguire, in tutti i pazienti con trombosi venose atipiche, uno screening esteso per ricercare un tumore occulto».